“Non sono in cerca né di onori né di gloria, visto che di mio – tutto sommato – ho già dato: voglio solo smuovere un po’ le acque”: Michele Torpedine mette subito le cose in chiaro, perché il suo sfogo – o appello – non passi per un accesso polemico fino a sé stesso. Il produttore di Minervino Murge ha un curriculum che pochi altri possono vantare, nello Stivale, avendo collaborato con artisti del calibro di Luca Carboni, Gino Paoli, Pino Daniele, Lucio Dalla, Ornella Vanoni e Fabrizio De André, oltre che per aver fatto da mentore a voci come quelle di Zucchero, Andrea Bocelli e Il Volo (con lui, nella foto). Realtà, queste ultime tre, ormai affermate a livello internazionale.
Addetto ai lavori di lunghissimo corso, Torpedine ha recentemente aperto una pagina Facebook – La Torpediniera – che si propone di offrire uno sguardo critico, e da insider, sul mondo dei talent. Se è il caso, anche sporcandosi le mani: “Vedo tanti colleghi che vanno in televisione ad alzare le palette coi voti”, ci racconta, “C’è qualcuno, come il mio amico Red Ronnie, che bolla i talent addirittura come il male della musica. Senza che nessuno mai si prenda la briga di spiegare quale sia il vero problema…”. Che sarebbe? “Le giurie. Per esigenze televisive si scelgono personaggi che funzionino su piccolo schermo, senza badare alle reali competenze necessarie per svolgere il ruolo di tutor. Così nella migliore delle ipotesi ci soi trova qualche ‘figlio di’ o una manciata di cantanti a fine carriera. Come a The Voice: una sera l’ho visto, è stato imbarazzante. Non voglio entrare nello specifico, ma pensiamo ai giurati che si sono avvicendati negli ultimi anni: come si può pretendere che gente come #Morgan o #Dolcenerarisolva i problemi di un giovane artista, se non è riuscita a risolvere nemmeno i propri? Proviamo a guardare all’estero: lì ci sono grandi nomi, come Simon Cowell, Pharrell Williams…”. D’accordo, ma i big italiani che fanno fatica ad andare a Sanremo se non invitati come ospiti speciali acconsentirebbero a sedere sul banco di una giuria televisiva? “Credo di sì, a patto – però – che il progetto sia ben studiato. E affidato alle mani di veri professionisti”.
Per Torpedine, volendo parafrasare Red Ronnie, i talent sono un male assolutamente necessario: “Sono rimasti, ormai, l’unico posto in TV dove sia dato spazio alla musica. A parte Fazio, che però ha i suoi gusti, cioè quelli di uno che è riuscito a trasformare il festival di Sanremo nel Club Tenco, con quel piglio cantautorale e impegnato che piace ai giornali di sinistra. Da lì potrebbero uscire le nuove leve, ma a conti fatti, dai talent show, chi è uscito? Nessuno. Marco Mengoni è vero, avrà vinto Sanremo, ma oltre la Val D’Aosta non si spingerà mai. E dove vogliamo andare con cantanti, magari anche bravi, come Lorenzo Fragola e Noemi? Lo stesso discorso si può fare per Sanremo: a parte Bocelli, Zucchero e Il Volo, quali altri cantanti hanno raggiunto il successo internazionale negli ultimi vent’anni? Nessuno. Per non parlare della scuola di Mogol, dalla quale non mi risulta siano usciti allievi di successo…”. Si potrebbe obiettare, però, che gli artisti italiani che hanno successo all’estero corrispondono a uno stereotipo che oltreoceano piace… “Sì, quello del bel canto, della melodia, della tradizione: è vero. Noi possiamo esportare quello, inutile girarci attorno, perché è quello che all’estero cercano da noi. Per il rock è molto dura, perché è difficile andare a farlo in casa di chi l’ha inventato, e avere pure successo…”.
Da dove partire, quindi, per riformare il talent in senso lato e riportarlo ad essere una fucina di talenti veri, e non di meteore funzionali ai bilanci semestrali delle etichette? “Innanzitutto eliminando la trafila delle aduzioni e le selezioni dal basso. Basterebbe sentire discografici e produttori, farsi dare i nomi dei giovani, e partire da lì: se non altro, una volta finita la trasmissione, avremmo la certezza di avere delle figure sulle quali un’etichetta investirà anche dopo l’esperienza televisiva, invece che dei debuttanti allo sbaraglio abbandonati a sé stessi dopo l’esperienza in TV”. A queste condizioni, però, si potrebbe portate l’obiezione di un sistema troppo centrato sulla discografia istituzionale: “Allora partiamo pure dal basso, d’accordo, ma è indispensabile fare un po’ di selezione prima, accorciando la trafila che porta ai finalisti. Talvolta guardo X Factor e mi domando cosa ci faccia sul palco certa gente”.
Non che la discografia non abbia responsabilità, nella situazione che si è venuta a creare negli anni: “Un tempo c’erano tante etichette, oggi ci sono tre presidenti di major, più Caterina Caselli [di Sugar]. Ed è a loro, che mi rivolgo: potrebbero mettersi d’accordo, unire le forze per cercare di cambiare il sistema dei talent show, delle radio, e di Sanremo, invece di continuare a fare ciascuno il proprio gioco”. Una ragione ci sarà, però… “Certo: non hanno voluto e continuano a non voler trovare un accordo. Perché probabilmente si accontentano di tirare a campare con un fatturato decente invece che muoversi in blocco per cercare di cambiare le cose…”.